Secoli fa gli scritti di matematica erano pieni di parole, poi è arrivata la notazione moderna con tutti i simboli condivisi dalla comunità, e dagli elaborati degli studenti le parole sono quasi scomparse, sostituite da sequemze di formule. L'insegnante quasi sempre riesce a ricostruire la sequenza nascosta di pensieri dello studente che lo hanno portato a scrivere le formule, ma chi non è del mestiere difficilmente capirebbe: poco male naturalmente, perché basta capirsi tra gente del mestiere. Il problema potrebbe nascere quando lo studente stesso non sa perché scrive le cose, in genere perché ripete schemi che ha visto produrre all'insegnante o perché assomigliano ad altri già applicati in passato con successo.
Queste considerazioni mi sono nate quando un mio nipote mi ha
chiesto aiuto su un esercizio che non gli veniva. Egli frequenta
la seconda liceo delle scienze applicate, ovviamente on line, è un
ragazzo che studia troppo e non molla finché non prende un bel
voto, vuole sempre fare tutto come dice l'insegnante (e con
questo penso che la scuola non gli faccia del bene) e molto
saltuariamente mi manda per email il pdf di un esercizio svolto
che non gli dà il risultato del libro. Io di solito lo richiamo al
telefono e gli espongo le mie considerazioni (metodo antiquato,
ma funziona abbastanza)
L'atro giorno mi ha mandato una paginetta con questo messaggio:
Ti invio un esercizio di matematica in cui bisogna trovare
le c.e., ho provato a svolgerlo ma non mi viene. Il risultato
delle c.e. è -2<=x<1.
Qui sotto un'immagine della pagina. (i riquadri colorati sono
aggiunti da me).
Come si vede, c'è un'unica parola, 'IMPOSSIBILE' , che non
ha senso in quel contesto, ma è un residuo degli esercizi sulle
equazioni.
L'errore evidente si nota nel riquadro rosso: immagino che il
ragazzo abbia ricontrollato più volte i calcoli precedenti, e
infatti lo schemino finale è giusto, ma non lo è la conclusione:
infatti ha utilizzato meccanicamente lo stesso schema delle
disequazioni precedenti moltiplicando i segni.
Curioso di vedere cosa avesse capito di questo argomento, gli ho
telefonato per muovere alcuni appunti su quello che ha scritto.
Sono partito un po' da lontano chiedendogli cosa significasse il
suo risultato `x>=-2`. Sicuramente non è abituato a questo tipo
di domande e dopo un po' di imbarazzo ha risposto: "se
metto -2 al posto di x nella prima espressione viene zero":
evidente la reminiscenza delle equazioni, ma qui il contesto è
diverso. L'ho invitato a pensarci meglio e dopo qualche esitazione
ha concluso che "se prendo per x numeri maggiori o uguali di -2
posso calcolare l'espressione, altrimenti no". Allora gli ho
detto:"se vuoi puoi provare a controllare il tuo risultato con
qualche numero". Ha provato 0 e va bene, 1 già dà problemi,
2 anche, e poi anche tutti i successivi: quindi risultato
sbagliato. Però non ho resistito alla tentazione di insegnargli un
piccolo trucco per controllare un po' all'ingrosso se la soluzione
sia giusta, spiegandogli quali numeri testare: "nel tuo
ultimo schema ci sono quattro colonne; prendi un numero in
ogni colonna e controlla se ti lascia calcolare l'espressione
o no; tieni solo le colonne buone".
Poi sono passato a considerare quella strana disequazione (nel
riquadro giallo) `sqrt((x-1)/(x-2))>=0` , spiegandogli
che per definizione la radice quadrata è positiva e che invece
avrei trovato corretto se avesse scritto per esempio una riga
così:
`sqrt((x-1)/(x-2))` esiste quando `(x-1)/(x-2)>=0` e `(x-2)!=0`
o qualcosa di simile.
Lui mi ha detto che ha scritto come fa il professore, e perciò non
ho insistito.
Infine ho provato a guidarlo a capire l'origine del suo errore,
partendo dal primo schemino (riquadro verde): gli ho fatto notare
che i + e - in quella riga non sono abbastanza esplicativi e avrei
trovato più consoni o un VERO/FALSO, riferito alla disequazione, o
un ESISTE/NON ESISTE se riferito all'espressione, anche scritti
mediante simboli. Questo valido anche per le altre due
disequazioni successive. Fatti poi riportare i simboli nell'ultimo
schema, si è trovato come un pesce fuor d'acqua, non avendo i + e
- da moltiplicare, però gli è affiorata una reminiscenza e ha
detto: "invece di + e - potrei mettere una riga o po' piena e
un po' tratteggiata? ". Questo mi ha fatto capire che aveva
già usato questo schema per risolvere i sistemi di disequazioni: quindi
aveva imparato uno strumento ma non sapeva poi quando usarlo.
Come mai? Forse perché le formule da sole non dicono
abbastanza? Secondo me se prima di una sequenza di formule
scrivesse qualche parola per spiegare quello che vuole fare, forse
lo aiuterebbe ad accorgersi se sta dicendo una fesseria e anche a
ricostruire in seguito il ragionamento seguito. Per esperienza so
che gli studenti non sono inclini a commentare i loro elaborati,
ritenendo questo una perdita di tempo, ma nell'ottica di una
matematica meno frettolosa penso che il guadagno in termini di
comprensione superi di molto la perdita di tempo. Per fare un
esempio a mio nipote, gli ho detto: "la prossima volta che devi
trovare le condizioni di esistenza fermati un attimo e scrivi
qualcosa di simile a questo":
le condizoni di esistenza di questa espressione sono
descritte da questo sistema di disequazioni:
`{((x-1)/(x-2)>=0),(x-2!=0),(4-x^2>=0),(2-2x>0):}`
e probabilmente non sbaglierai più".